Sant’Erasmo tra storia e mito

Fin dai primissimi anni successivi alla morte di Gesù le comunità cristiane hanno mostrato un particolare interesse verso la vita e le opere dei martiri di Cristo. Attraverso la redazione di Acta e Passiones, scritti di carattere agiografico, le comunità riconoscevano e tramandavano una particolare concezione del martire e del suo martirio. Così come Cristo aveva patito le sofferenze della Passione, fino a sacrificare la propria vita, anche il martire veniva concepito come colui che mediante le torture e la morte, confermava la fede nel Salvatore, continuando, attraverso la propria passione, la passione di Cristo. Sebbene i documenti più antichi mostrino una particolare aderenza storica, derivata anche dal fatto che molte notizie fossero di diretta provenienza dagli atti ufficiali di quegli antichi processi, non può dirsi lo stesso per gli scritti redatti dal IV secolo in poi. Fu in questo periodo che fiorirono numerosi acta e passiones, ma se confrontati a i testi più antichi, ci si accorge che si tratta di leggende agiografiche e racconti fantastici senza alcun legame con il martirio, che testimoniano con la loro narrazione, l’esigenza di una pietà popolare che si preoccupa più dell'aspetto sensazionale e truculento che dell'autenticità della testimonianza. Lo stesso vale per le passiones greche e latine di Erasmo, coinvolgenti ed accattivanti sul piano narrativo e devozionale, ma non attendibili se lette dal punto di vista storico-filologico. Come ad esempio il famoso martirio per eviscerazione, estraneo per quanto si possa sapere, alle pratiche inquisitorie del IV secolo, ma nato molto probabilmente da un fraintendimento iconografico. Per questo motivo risulta alquanto arduo ricostruire il nucleo storico della Passione di Erasmo. Le notizie che godono di una certa sicurezza sono: il suo nome; che fosse un eremita orientale; che abbia svolto un attività missionaria; con buona probabilità era anche un vescovo, forse di Antiochia. Tutto il resto si confonde nello zelo tipico della narrativa agiografica che non si cura dell'accuratezza dei particolari storici, ma tende ad esaltare la tradizionale memoria del martire per giustificarne il consolidato ruolo di patrono di una città.
Il più accreditato documento che ci rimanda alla storia del martire Erasmo è una lettera di Papa Gregorio Magno al presule formiano Bacauda, in cui si parla di una chiesa formiana "in qua corpus beati Erasmi martyris requiescit" (Reg. epist. I, 8). Il documento ha come termine ad quem la fine del VI secolo, così prima di questa notizia non si hanno fonti specifiche. Ciò però non è un particolare di poca importanza, poiché ci indica un’altezza cronologica in cui poter fissare la presenza di una tradizione che pian piano si è diffusa, imponendo la figura di Erasmo come modello ed esempio per numerose comunità ecclesiali della penisola.
È con il monaco Giovanni di Gaeta, futuro Papa Gelasio Il (1060 ca. - 1119), che si ha per la prima volta un sapiente lavoro di collazione delle varie fonti agiografiche riguardo la Passio di Erasmo. In tale opera, redatta a Monte Cassino verso la fine del XI secolo, il monaco Giovanni di Gaeta fa intravedere, attraverso la biografia del Santo, i tre caratteri essenziali della vita monastica: la vita eremitica, l’incarico pastorale e l’atto di confessione della fede. Infatti il racconto si apre con Erasmo che in un luogo solitario si intrattiene in compagnia degli angeli e delle bestie selvatiche, traendo da ciò tranquillità e particolare diletto per la sua anima. Una voce celeste però comanda ad Erasmo di lasciare il suo romitaggio e di recarsi in città, poiché è maturo il tempo per adempiere al proprio apostolato. Erasmo predica, battezza e guarisce. Dopo varie vicissitudini e tentennamenti il Santo, sostenuto dalla fede in Cristo, non esita a esporsi ai pericoli di una nuova persecuzione avviata dall'imperatore Diocleziano ad Antiochia. Catturato ed esortato a sacrificare agli dei, puntualmente rifiuta. Ciò lo espone a numerose flagellazioni da cui però esce indenne, senza né una ferita né un livido. Allora l’imperatore preoccupato che tali prodigi possano far scaturire nuove conversioni, lo condanna al supplizio della pece, ma il santo immerso nel brodo di pece, zolfo e cera in fusione, riferisce di non sentirne alcun effetto, visto che Cristo lo rinfresca. Segue un grande terremoto e allora Diocleziano decide di imprigionarlo e sigilla la porta della cella. Un angelo appare di notte e libera Erasmo. Il santo si reca a Ochrida, cittadina a pochi chilometri da Sirmio, importante centro culturale dell'Illiria e sede del nuovo imperatore Massimiano. Saputa della presenza del Santo l’imperatore lo fa arrestare e condurre in città al suo cospetto per convincerlo a sacrificare ai piedi della statua di Giove. Di fronte a tale pretesa, miracolosamente, la statua va in frantumi e da essa ne fuoriesce un serpente che fa strage tra la folla. L’episodio converte moltissime persone presenti che l’imperatore fa uccidere seduta stante. Allora Massimiano ordina di costruire una tunica di bronzo, di arroventarla e di coprirne il corpo del Santo. Erasmo se la infila spontaneamente e miracolosamente la tunica si raffredda. Continuano le conversioni e l’imperatore monta su tutte le furie. Massimiano allora decide di liberarsi in maniera permanente di Erasmo, così pensa di preparargli una vasca con piombo fuso, resina, pece e olio bollente. Erasmo dopo essersi segnato scende spontaneamente nella caldaia e il tuffo provoca degli schizzi bollenti che raggiungono l’imperatore, ma il santo rimane indenne e la caldaia si rovescia. L’imperatore lo fa allora rinchiudere in carcere, ma nuovamente un angelo lo libera, così Erasmo lascia l’Illiria per navigare verso Formia, dove morirà pochi giorni dopo il suo arrivo. Il suo corpo verrà sepolto dal vescovo Probo nella parte occidentale della città "iuxta amphitheatrum".

Al di là di qualsiasi esercizio filologico, la narrazione, che si è tramandata anche oralmente nelle chiese locali, ci fa riflettere su una cosa che fondamentalmente non può essere messa in dubbio, e cioè l’importanza del culto del martire. La devozione verso Erasmo ha attraversato i secoli per arrivare fino al basso Medioevo ed entrare nell'esiguo numero dei Santi Ausiliatori, devozione nata in Germania nel XV secolo, e non a caso la sua virtù era esplicata nel soccorso ai marinai (con il nome di S. Elmo), contro le epidemie e contro i dolori addominali, fatto che ci fa intuire quale martirio, in quel tempo, avesse fatto breccia nell'immaginario collettivo. Di generazione in generazione si sono tramandate le sue gesta eroiche, i suoi miracoli ed il suo terrificante martirio e ciò ha dato ai fedeli gaetani e a quelli degli altri luoghi in cui si venera ancora la sua memoria, una speranza in più di salvezza dalle più gravi sciagure che da sempre attanagliano l’umanità. Guerre, pestilenze e cataclismi, sono stati scongiurati nel suo nome e ciò ne ha fatto, agli occhi dei suoi più affezionati fedeli, il mediatore più insigne, a cui porgere le proprie preghiere da affidare a Dio. Sant'Erasmo era parte integrante della vita sociale del popolo, tanto che le persone più anziane tramandano una canzone-invocazione, che fino ai primissimi anni del secolo scorso, le donne gaetane che per mestiere riparavano le reti, cantavano durante la propria attività. La canzone recitava le seguenti parole: "Santu Raimo mio fa’ venì le sardellin’ a ciò che venn’ gli ferun’ e campam’ pur’ nui". Ci si affidava al Santo affinché nella rada entrassero tante sardine, in modo che dietro di esse giungessero anche i delfini (le fere) e bucassero le reti dei pescatori, procurando tanto lavoro per le rammendatrici e quindi un pasto sicuro anche per l’inverno.